Gia60
21-05-2010, 20:14
Un po di tempo fa :-) l'energia è sempre viva.
dal.... Mucchio Selvaggio
Impossible Mission Tour
CLASH CONTRO IL DIVIETO MILANO 21 MAGGIO
Hanno rispettato fìno in fondo l’immagine che si sono falti di banda maledetta e misteriosa.
Anche a Milano, la leggenda che li vuole simbolo della ribellione violenta e della suburbia si è in parte avverata e, tra decine di diapositive proiettanti un mondo negativo ed oscuro.
I quattro di Brixton hanno suonato contro il pretestuoso divieto della questura suscitando entusiasmo e incertezza.
Al di là dei gusti personali, è giusto mettere in risalto alcune cose vertficatesi al concerto dei CLASH e in generale puntualmente comuni agli altri concerti in Italia.
Innanzitutto a Milano manca un luogo adibito ai concerti capace di assorbire un afflusso di massa.
In Inverno la situazione è drammatica se si pensa che l’unico posto concesso è il Palalido; 7/8 mila persone al massimo, acustica del tutto insufficiente. In estale qualcosa di più, ovvero
II Vigorelli ormai abbandonato dallo sport e al limite per i raduni oceanici, lo stadio di S. Siro.
Entrambi non sono cerio la fine del mondo. La loro ampiezza permette una facile dispersione del suono, per non dire della visibilità del tutto scarsa, specie per quei concerti come I CLASH in cui l’immagine, l’atto visivo ha un peso determinante.
A questo si aggiungano i soliti problemi di amplificazione oltre aita menzionata stupidità dell’
«ordine pubblico» e traete le conclusioni. Perché allora non compiere un salto qualitativo
e programmare per le grosse cìttà e per i grossi nomi più date dentro teatri o. luoghi indicati?
Avviene in altri paesi, avviene per le altre arti meno diffuse, non per II rock, «anima nera” dello spettacolo.
Soldi? A parte I soliti giri di bisiness meglio spendere duemila lire in più e non sbattersi da una parte all’altro del Vigorelli per cercare di individuare il colore della camicia di Mick Jones.
Comunque, la camicia di Jones era rossa il giorno del concerto e questo grazie alla mia ostinazione di voler raggiungere una distanza dal palco perlomeno sufficiente a capire «chi****osono» questi maledetti quattro eroi dell’ex revoluzione punk.
Arrivano preceduti da una catana introduzione registrata su nastro. Qualcuno tra i miei giovanissimi vicini, giubbotto pelle nera borchiato BAUHAUS (mammamia!), dice trattasi di BEETHOVEN, più probabilmente era il MORRICONE (Ennio) di qualche western all’itallana, ad ogni buon conio il visibilio è grande e loro (i CLASH) sul palco destano impressione con quell’aria a metà strada tra «CRUISING» e il «ROCKABILLY». Col basco e a dorso nudo il batterista Topper Headon, gran picchiatore e artefice assieme al bassista Paul Simonon, muscoliciuffo e aria da duro, del suono dei CLASH dopo l’ultima rivoluzione, quella “Sandinìsta”.
L’altra parte del palco è occupata dai due chitarristi.
Mick Jones in splendida camicia rossa ricorda KEITH RICHARDS. È un po’ divo e un po’ enfant prodige e i suoi atteggiamenti gli hanno procurato non poche critiche dai giornali inglesi.
Si muove a meraviglia dondolando la chitarra in assoli secchi e spasmodici senza concedere nulla al virtuosismo e all’improvvisazione. Joe Strummer, piccolo, scuro, il viso espressivo e ansioso cantante e chitarra ritmica, ricorda James Dean proletario, si muove continuamente avanti ed indietro, la sua voce è a volle rabbiosa a volte lamentosa e ossessiva, cela dentro di sé tutta [‘essenza dei CLASH.
Iniziano con «London Calling» ma appaiono sotto tono, sono tesi. Suonare in Italia contro la questura non rilassa nessuno, neppure loro. sandinisti più per scenografia che per fede politica.
Compaiono le prime diapositive; eserciti, carri armati, rivolte internazionali, tecnologia per il dominio, nessuna speranza.
Fanno «Safe European Home» e “White man in Hammersmith Palais” e I punks sotto il palco si scaldano.
Non c’è spazio per lutti, è un inferno, se non salti ti trovi schiacciato dagli ondeggiamenti della folta. CLASH ovvero lo “scontro» è proprio ciò che la leggenda tramanda, maledetto fascino della rivolta!
Il concerto cambia, fanno «Guns of Brixton” con i ritagli delle cronache di qualche mese (a, con la cupa voce di Simonon e con le note di basso scandite come colpi di fucile.
È in una versione mollo più sincopata rispetto all’originale, gli elementi musicali «centroamericani» introdotti con l’ultìmo triplo sono diventati l’asse centrale del liveact dei CLASH, il reggae e il funky visitati in modo personale sostengono una ritmica dura, ipnotica congeniale alle imbastardite entrate di Strummer e Jones. Headon picchia ostinatamente sulla batteria, Jones mette le mani su una specie di synth che sostituisce 11 lavoro di Mickey Gallagher e Strummer introduce “Charlie dont surf”.
Sullo schermo compaiono scene di Vietnam. Paradossalmente è uno dei momenti più «dolci» del concerto, la tré voci di Joe, Mick e Paul si sovrappongono in un sinuoso gioco di onde che dal palco si diffondono a tutto il velodromo.
È uno dei momenti più intensi dal concerto, II loro rock per un attimo si fa visionario e allucinato.
Poi con “Thè magnificent seven” pur usando l’ironia sì ritoma In strada picchiando su quel ritmo essenziale, eccitante, rabbioso.
Nessuna interruzione ed è “Somebody got murdered”, uno degli episodi migliori di “Sandinista” a scatenare le corde di Mick Jones.
Quelle dalla chitarra ti tagliano il corpo a metà, ti fanno saltare in aria, quelle vocali, sensuali e viziose, li catturano le emozioni più nascoste.
“Clampdown” chiude il concerto ira un entusiasmo che non nasconde le incertezze del momento.
Sotto II palco l’eccitazione è grande, Chi dei CLASH ha condiviso la rabbia iniziale e il recente sapore caraibico è pienamente soddisfatto, si è mosso, ha cantato, ha ballato, ha visto l’inferno, ha ceduto all’energia carismatica della voce sporca di Joe Strummer. Più ina’ieiro, dove la disianza “non regolamentare» e la scarsa amplificazione pesano, c’è perplessità Inappagata curiosità, il bis non si fa attendere, «One more lime» con quel magico dubbing che muove le gambe anche a chi non le ha, «Brand new cadillac” riffa di rockabilly, “London’s burning» diventa nel caldo del concerto “Milano’s burning”, «White riot» alza II livello dello SCONTRO.
Poi, delicatamente «Jimmy Jazz” manda tutti a casa, vecchi amanti del jazz e giovani amici di Jimmy
dal.... Mucchio Selvaggio
Impossible Mission Tour
CLASH CONTRO IL DIVIETO MILANO 21 MAGGIO
Hanno rispettato fìno in fondo l’immagine che si sono falti di banda maledetta e misteriosa.
Anche a Milano, la leggenda che li vuole simbolo della ribellione violenta e della suburbia si è in parte avverata e, tra decine di diapositive proiettanti un mondo negativo ed oscuro.
I quattro di Brixton hanno suonato contro il pretestuoso divieto della questura suscitando entusiasmo e incertezza.
Al di là dei gusti personali, è giusto mettere in risalto alcune cose vertficatesi al concerto dei CLASH e in generale puntualmente comuni agli altri concerti in Italia.
Innanzitutto a Milano manca un luogo adibito ai concerti capace di assorbire un afflusso di massa.
In Inverno la situazione è drammatica se si pensa che l’unico posto concesso è il Palalido; 7/8 mila persone al massimo, acustica del tutto insufficiente. In estale qualcosa di più, ovvero
II Vigorelli ormai abbandonato dallo sport e al limite per i raduni oceanici, lo stadio di S. Siro.
Entrambi non sono cerio la fine del mondo. La loro ampiezza permette una facile dispersione del suono, per non dire della visibilità del tutto scarsa, specie per quei concerti come I CLASH in cui l’immagine, l’atto visivo ha un peso determinante.
A questo si aggiungano i soliti problemi di amplificazione oltre aita menzionata stupidità dell’
«ordine pubblico» e traete le conclusioni. Perché allora non compiere un salto qualitativo
e programmare per le grosse cìttà e per i grossi nomi più date dentro teatri o. luoghi indicati?
Avviene in altri paesi, avviene per le altre arti meno diffuse, non per II rock, «anima nera” dello spettacolo.
Soldi? A parte I soliti giri di bisiness meglio spendere duemila lire in più e non sbattersi da una parte all’altro del Vigorelli per cercare di individuare il colore della camicia di Mick Jones.
Comunque, la camicia di Jones era rossa il giorno del concerto e questo grazie alla mia ostinazione di voler raggiungere una distanza dal palco perlomeno sufficiente a capire «chi****osono» questi maledetti quattro eroi dell’ex revoluzione punk.
Arrivano preceduti da una catana introduzione registrata su nastro. Qualcuno tra i miei giovanissimi vicini, giubbotto pelle nera borchiato BAUHAUS (mammamia!), dice trattasi di BEETHOVEN, più probabilmente era il MORRICONE (Ennio) di qualche western all’itallana, ad ogni buon conio il visibilio è grande e loro (i CLASH) sul palco destano impressione con quell’aria a metà strada tra «CRUISING» e il «ROCKABILLY». Col basco e a dorso nudo il batterista Topper Headon, gran picchiatore e artefice assieme al bassista Paul Simonon, muscoliciuffo e aria da duro, del suono dei CLASH dopo l’ultima rivoluzione, quella “Sandinìsta”.
L’altra parte del palco è occupata dai due chitarristi.
Mick Jones in splendida camicia rossa ricorda KEITH RICHARDS. È un po’ divo e un po’ enfant prodige e i suoi atteggiamenti gli hanno procurato non poche critiche dai giornali inglesi.
Si muove a meraviglia dondolando la chitarra in assoli secchi e spasmodici senza concedere nulla al virtuosismo e all’improvvisazione. Joe Strummer, piccolo, scuro, il viso espressivo e ansioso cantante e chitarra ritmica, ricorda James Dean proletario, si muove continuamente avanti ed indietro, la sua voce è a volle rabbiosa a volte lamentosa e ossessiva, cela dentro di sé tutta [‘essenza dei CLASH.
Iniziano con «London Calling» ma appaiono sotto tono, sono tesi. Suonare in Italia contro la questura non rilassa nessuno, neppure loro. sandinisti più per scenografia che per fede politica.
Compaiono le prime diapositive; eserciti, carri armati, rivolte internazionali, tecnologia per il dominio, nessuna speranza.
Fanno «Safe European Home» e “White man in Hammersmith Palais” e I punks sotto il palco si scaldano.
Non c’è spazio per lutti, è un inferno, se non salti ti trovi schiacciato dagli ondeggiamenti della folta. CLASH ovvero lo “scontro» è proprio ciò che la leggenda tramanda, maledetto fascino della rivolta!
Il concerto cambia, fanno «Guns of Brixton” con i ritagli delle cronache di qualche mese (a, con la cupa voce di Simonon e con le note di basso scandite come colpi di fucile.
È in una versione mollo più sincopata rispetto all’originale, gli elementi musicali «centroamericani» introdotti con l’ultìmo triplo sono diventati l’asse centrale del liveact dei CLASH, il reggae e il funky visitati in modo personale sostengono una ritmica dura, ipnotica congeniale alle imbastardite entrate di Strummer e Jones. Headon picchia ostinatamente sulla batteria, Jones mette le mani su una specie di synth che sostituisce 11 lavoro di Mickey Gallagher e Strummer introduce “Charlie dont surf”.
Sullo schermo compaiono scene di Vietnam. Paradossalmente è uno dei momenti più «dolci» del concerto, la tré voci di Joe, Mick e Paul si sovrappongono in un sinuoso gioco di onde che dal palco si diffondono a tutto il velodromo.
È uno dei momenti più intensi dal concerto, II loro rock per un attimo si fa visionario e allucinato.
Poi con “Thè magnificent seven” pur usando l’ironia sì ritoma In strada picchiando su quel ritmo essenziale, eccitante, rabbioso.
Nessuna interruzione ed è “Somebody got murdered”, uno degli episodi migliori di “Sandinista” a scatenare le corde di Mick Jones.
Quelle dalla chitarra ti tagliano il corpo a metà, ti fanno saltare in aria, quelle vocali, sensuali e viziose, li catturano le emozioni più nascoste.
“Clampdown” chiude il concerto ira un entusiasmo che non nasconde le incertezze del momento.
Sotto II palco l’eccitazione è grande, Chi dei CLASH ha condiviso la rabbia iniziale e il recente sapore caraibico è pienamente soddisfatto, si è mosso, ha cantato, ha ballato, ha visto l’inferno, ha ceduto all’energia carismatica della voce sporca di Joe Strummer. Più ina’ieiro, dove la disianza “non regolamentare» e la scarsa amplificazione pesano, c’è perplessità Inappagata curiosità, il bis non si fa attendere, «One more lime» con quel magico dubbing che muove le gambe anche a chi non le ha, «Brand new cadillac” riffa di rockabilly, “London’s burning» diventa nel caldo del concerto “Milano’s burning”, «White riot» alza II livello dello SCONTRO.
Poi, delicatamente «Jimmy Jazz” manda tutti a casa, vecchi amanti del jazz e giovani amici di Jimmy